All'ingresso della Miniera
Paure e silenzi di un designer
Nel 1939, un anno dopo l'inaugurazione di Carbonia per dare fiato alla propaganda autarchica, aprì i battenti la Grande miniera di Serbariu. Al suo ingresso campeggia ancora una grossa scritta, ormai quasi invisibile, che invitava i minatori a lavorare "duro, secco e sodo e possibilmente in silenzio".
Non è un consiglio meraviglioso? Lavori nelle viscere della terra, se va bene ti spezzi la schiena e non vedi più il sole, se va male ti ammali o muori e l'invito è farlo "possibilmente" in silenzio.
In silenzio!
Il tempo di quegli avvisi, per fortuna, è passato ma è tutto cambiato? O si è solo trasformato? Per esempio in Italia nel 2024 si contano, ancora, tre morti al giorno sul lavoro. Lasciamo perdere gli infortuni. La paura di denunciare le proprie condizioni di lavoro (e quindi di perderlo) sono un efficacissimo moderno "invito al silenzio".
Io faccio parte di quella generazione che ha sperimentato il passaggio di consegne da quella che aveva raggiunto (non gratis, eh) diritti e tutele con una istruzione medio-bassa a una ultra-formata, pluri-laureata, masterizzata e specializzata ma travolta dalla precarietà senza fine, con molte meno tutele della generazione precedente. Però almeno abbiamo studiato e i nostri genitori possono vantarsi di dottori e dottoresse a casa.
Ma cosa c'entra tutto questo con il mio nuovo portfolio? Cosa c'entra la paura. Cosa c'entra il silenzio?
Il silenzio è una reazione alla paura. Non urlerò, non dirò neanche a bassa voce quello che penso e forse non toccherà a me rischiare di perdere qualcosa o di farmi male.
Mi sono chiesto se fosse "intelligente" esporre tutta la mia produzione (e autoproduzione), anche quella "artistica" (che parola nauseabonda) cioè quella in cui sono stato più libero (ho detto più libero eh, non libero). Non c'è bisogno di scomodare i medium di massa mercificanti e alienanti per evocare il concetto di di autocensura come dichiarava, nel 1971, Pasolini ad un candido Enzo Biagi. Succede ad ogni livello, non c'è bisogno di stare in prima serata in televisione (o in una live su twitch) per autocensurarsi. Basta molto meno. Io ne faccio abbondante uso. Quindi non è dichiarazione di purezza&durezza la mia. Anzi, al contrario, è un ragionamento sulla paura. Paura di posizionarmi e dirlo "ad voce" . Di farmi male e perdere qualcosa
Un posto di lavoro,
una commessa,
un cliente.
E se quel mio "prendere parte" facesse storcere il naso ancor prima di chiedermi un preventivo? Che ne sò, magari serviva solo impaginare una rivista sulle immersioni subacquee in Papuasia... Ok, forse è meglio tacere e non mostrare tutto, tutto. No?
In questi mesi, mettendo in ordine e selezionando i miei lavori, mi sono reso conto che le scelte fatte hanno portato, inevitabilmente, alla creazione di una mia linea creativa che si fonda proprio in quella impossibilità di silenzio.
Ma abbiamo capito la gravità della realtà di questo tempo?
Per quanto mi faccia ribrezzo l'idea che il proprio lavoro possa essere confuso con la propria identità (tu non sei il tuo lavoro diceva Tyler Durden, sei molto di più dico io) è stato inevitabile mettere me stesso, la mia idea del mondo in tanti lavori che vedete qui. Liberi e meno liberi
Forse, da un punto di vista commerciale, non è così intelligente aver scelto questa strada...ma se qualcun* non dovesse collaborare con me per qualcosa che vede qui dentro, beh forse è meglio così.
p.s
per chi se lo sta chiedendo: no non ci sarà bisogno di discussioni di geopolitica per fare il logo del vostro nuovo diving in Papuasia.
R